martedì 28 ottobre 2014

Ricordando Vincenzo Paparelli



Mi chiamo Vincenzo Paparelli e sono morto il 28 ottobre del 1979.

Forse qualcuno si ricorda ancora di me.

Ero un uomo di 33 anni che un giorno fu ucciso allo stadio Olimpico da un razzo a paracadute di tipo nautico sparato da un tifoso ultrà della Roma. Quando sono stato colpito stavo mangiando un panino. Mia moglie Wanda cercò di estrarmi quel tubo di ferro dall'occhio sinistro, ma siccome il razzo bruciava ancora, finì per ustionarsi una mano. Il medico che mi ha prestato i primi soccorsi, dichiarò che nemmeno in guerra aveva visto una lesione così grave. Il giorno dopo tutti i giornali mostrarono una fotografia scattata qualche mese prima, che mi ritraeva in un ristorante insieme a mia moglie. Soltanto il quotidiano Il Tempo pubblicò l'immagine di me, riverso per terra, con la faccia insanguinata e l'orbita dell'occhio sinistro vuota.
Sono stato la seconda vittima del tifo calcistico in Italia, la prima era un tifoso della Salernitana che nel 1963 morì in seguito a degli scontri scoppiati in tribuna con dei tifosi del Potenza. Tra le personalità del mondo sportivo il primo ad accorrere all'ospedale Santo Spirito, dove sono giunto ormai morto, è stato il Presidente del Coni Franco Carraro. Mio cognato quando ha sentito alla radio il mio nome ha pensato a un caso di omonimia. Mio fratello quando ha saputo della disgrazia, ha avuto un forte senso di colpa perché mi aveva prestato la tessera e quel giorno allo stadio al mio posto doveva esserci lui. Mia moglie, che era accanto a me nell'ambulanza, per tutto il tempo mi ha pregato di non morire e mi ha tenuto stretta la mano. Dopo aver sbrigato tutte le formalità in questura e aver ritirato i documenti e i miei oggetti personali, ha avuto una crisi e ha cominciato a urlare. Sulle foto apparse sui giornali i giorni seguenti è ritratta insieme a sua madre che cerca di consolarla e le tiene un braccio sulla spalla. Ha la faccia stanca e scavata, e nei suoi occhi c'è qualcosa di terribile. Il mio nome e quello de i miei familiari sono comparsi sui quotidiani per tutta la settimana dopo l’omicidio e anche quella successiva, ma sempre con minore risalto. Io sono stato definito unanimemente un uomo normale e tranquillo, con un'unica passione, quella per la Lazio. Alcuni quotidiani hanno sottolineato più volte che avevo un'officina meccanica in società con mio fratello e vivevo in una moderna borgata romana chiamata Mazzalupo.
Qualcuno ha scritto che avevo comprato il televisore a colori con le cambiali, e il mio unico lusso era un Bmw di seconda mano che tenevo in garage e lucidavo come uno specchio. Dopo la mia morte, il capitano della Lazio Pino Wilson ha telefonato a mia moglie per porgerle le condoglianze. Anche il sindaco di Roma Petroselli ha telefonato, e si è offerto di pagare le spese del mio funerale e ha messo a disposizione della mia famiglia un assistente sociale. Il giocatore Lionello Manfredonia è andato a far visita ai miei familiari regalando a mio figlio più piccolo la sua maglietta con il numero cinque. Al mio funerale c'era tutta la squadra della Lazio, insieme all'allenatore Bob Lovati e al presidente Lenzini. I giocatori della Roma invece non hanno partecipato perché impegnati con la trasferta di Coppa Italia a Potenza, al loro posto la società ha inviato i ragazzi della Primavera. Alla cerimonia funebre hanno assistito migliaia di persone e per quel giorno è stato proclamato il lutto cittadino. La Fondazione Luciano Re Cecconi ha devoluto un milione in beneficenza alla mia famiglia. La giunta regionale del Lazio ha stanziato la somma di cinque milioni come segno di solidarietà. La Società Sportiva Roma ha fatto affiggere una targa in Curva Nord per ricordare la mia persona. Mio fratello Angelo ha proposto alle due società romane una partita Lazio-Roma mista cioè con i giocatori laziali e romanisti mescolati nelle due formazioni, ma alla fine non se n'è fatto niente. Per alcuni giorni sono stato oggetto di un acceso dibattito sulla violenza negli stadi. Il sindaco di Roma ha affermato che bisognava meditare su questa tragedia e discuterne in tutti i club sportivi e nelle scuole. Qualcuno ha proposto che fossero installati negli stadi degli impianti di televisione a circuito chiuso per individuare i tifosi violenti. Il capo degli arbitri, Giulio Campanati, ha chiesto l'abolizione della moviola in Tv. Per alcuni mesi sono state prese drastiche misure repressive: è stato proibito l'ingresso allo stadio di aste di bandiera, tamburi e persino di striscioni dai nomi bellicosi, e anche di spillette e toppe che potessero risultare offensive. Il pubblico doveva incitare la propria squadra solo con la voce e con le mani. Il mio nome è stato, a secondo dei casi, inneggiato e sbeffeggiato dai tifosi della Lazio e della Roma Sui muri della città ancora oggi campeggiano scritte che dicono «Paparelli, sarai vendicato», o «Paparelli non ti dimenticheremo», o anche «10, 100, 1000 Paparelli» o ancora, «Paparelli ti sei perso i tempi belli». In questi ultimi anni i giornali hanno parlato di me, soltanto all'indomani di un nuovo delitto avvenuto allo stadio. Nel 5° anniversario della mia scomparsa, i tifosi mi hanno ricordato prima di una partita con la Cremonese. Sul tartan, all'altezza della Tribuna Tevere hanno spiegato uno striscione con scritto «Vincenzo vive», mentre la curva intonava «28 ottobre Lutto Nazionale». Nel 10° anniversario è stato inaugurato il «Lazio Club Nuovo Monte Spaccato, Vincenzo Paparelli». L'anniversario della mia morte è stato commemorato dai tifosi laziali della Curva Nord per oltre quindici anni, poi da qualche tempo è calato il silenzio. Il torneo di calcio Vincenzo Paparelli è arrivato soltanto alla terza edizione, poi si è fermato per mancanza di finanziamenti. I lavori per le ristrutturazioni dello stadio Olimpico di «Italia '90» hanno cancellato per sempre le curve di un tempo, e con loro la targa di marmo che mi ricordava. Sul motore di ricerca Yahoo digitando il mio nome e cognome racchiudendolo tra virgolette, il risultato dice sempre «Ignored».
Nell'archivio del quotidiano il Messaggero, risulta che l'ultima volta che sono stato nominato è il 5 febbraio del 1995, in occasione di un breve articolo sul mio assassino. Il mio assassino si chiamava Giovanni Fiorillo, aveva diciotto anni ed era un pittore edile disoccupato. Subito dopo l'omicidio ha fatto sparire le sue tracce e si è dato alla latitanza. Qualcuno diceva di averlo avvistato a Pescara, qualcun altro a Brescia, qualcun altro ancora a Frosinone, che chiedeva informazioni per comprare le sigarette. Dopo quattordici mesi di clandestinità, si è costituito. Nel 1987 è stato condannato in Cassazione per omicidio preterintenzionale: sei anni e dieci mesi a lui che aveva lanciato il razzo, quattro anni e sei mesi agli altri due complici che lo avevano aiutato a introdurre nello stadio l'ordigno e a utilizzarlo. Durante quel girovagare per l'Italia e per la Svizzera ha telefonato quasi tutti i giorni a mio fratello Angelo, chiedendo scusa e giurando che non voleva uccidere quel giorno allo stadio. Era un ragazzo come tanti, abitava a Piazza Vittorio, era patito della Roma. Sua madre lavorava al mercato, suo padre aggiustatore meccanico. Era gente del popolo, come me. L'articolo sul giornale diceva che Giovanni Fiorillo è morto il 24 marzo del 1993: forse per overdose, forse consumato da un brutto male. Mio fratello Angelo l'ha perdonato, così come l'hanno perdonato mia moglie e anche i miei figli. Una cosa è certa, quel ragazzo è stato sfortunato, così come lo sono stato io.

Mi chiamavo Vincenzo Paparelli.

Sono morto il 28 ottobre del 1979.

Forse qualcuno si ricorda ancora di me.

A firma di Massimiliano Governi (Gazzetta dello Sport).

mercoledì 22 ottobre 2014

Lasagna mirtillo alle sardine marinate



E dire che mi sembrava una buona idea ed invece si è rivelata un atroce abbaglio. Ma andiamo con ordine. 

Nuovo mese, nuova sfidaall’eMMeTiChallenge, la n. 42, che ci regala la divina lasagna proposta da Sabrina del blog les madeleines di proust, vincitrice del mese di settembre. Fin qui tutto bene, tutto nella norma. I problemi cominciano quando la mia fantasia inizia a galoppare (non vi dico il vero aggettivo con cui mi definirei) pensando alla versione della mia lasagna. Pensa che ti ripensa, decido di puntare sul pesce e di proporre delle porzioni singole (MENO MALE che non ne ho fatto una teglia intera). Pesce prescelto delle freschissime sardine (quindi non è colpa loro), da marinare in succo di lime. Poi penso ai mirtilli e così immagino le lasagne impastate con il loro succo. Detto fatto. Perciò senza dilungarmi troppo ho fatto delle lasagne al succo di mirtillo con sardine marinate al lime e foglie di tè nero, con una semplice vellutata preparata con del fumetto di pesce. Dire che il risultato finale fosse immangiabile è quasi un complimento. Perciò tenetevi alla larga da questa ricetta e non pensate minimamente di provare a rifarla. 

Mi scuso con tutti in special modo con Sabrina.

Qualcuno si starà chiedendo per quale cavolo di motivo ho deciso di postare una ricetta così schifosa. La verità è che avrei potuto farne un’altra, magari più classica e lasciare questa nell’oblio più assoluto, ma poi mi son detto, che siamo prossimi ad Halloween e magari da questa ricetta si può trarre spunto, pertanto se volete farvi del male e preparare una nefandezza per il 31 ottobre, questa lasagna vi assicuro che lascerà un segno indelebile in voi e in tutti coloro che proveranno ad assaggiarla. Non abbiate paura, ma terrore AAHAHAHAHAHAHAAHAH!!!!!!


Ingredienti

per la sfoglia

250 g di farina 0

1 uovo 

5 cucchiai di polpa di mirtillo ottenuti da 100 g di mirtilli

per il ripieno delle lasagne

300 g di sardine

il succo di 2 lime

2 cucchiaini di tè nero

per la vellutata

50 g di farina

4 cucchiai di olio 

500 ml di fumetto di pesce

Dopo aver lavato, aperto a libro ed eliminato la testa e la lisca centrale delle sardine, mettetele a marinare nel succo di lime e le foglie di tè nero per almeno 12 ore. Quindi è un’attività da fare il giorno prima. 

Il giorno dopo disponete a fontana la farina, fate un buco al centro e mettetevi l’uovo e il succo di mirtillo e mescolate fino ad ottenere un impasto elastico. Lasciatelo riposare per una mezz’oretta e poi tirate la sfoglia. 

A questo punto tagliate la pasta formando dei rettangoli.

Preparate il roux incorporando la farina e l’olio, mescolate su fiamma bassa, poi spegnete il fuoco e aggiungete il fumetto di pesce e mescolate in continuazione, poi accendete il fuoco, continuate a mescolare fino a far solidificare la vellutata e poi cuocete per qualche altro minuto.

Cuocete le lasagne come indicato da Sabrina: “Mettere a bollire abbondante acqua salata. Preparare una ciotola di acqua ghiacciata e uno scolapasta.”

A questo punto prendete delle terrine monoporzione di coccio, disponete un leggero strato di vellutata, un rettangolo di lasagna, due sardine, dell’altra vellutata e procedete così per 4 strati. 


L’ultimo strato di lasagna copritelo totalmente con la vellutata.

Infornate in forno caldo a 180° per circa 20 minuti.


Con questa ricetta partecipo all'MTC n. 42 con la lasagna al forno di Sabrina del blog Les Madeleines di Proust

                                                            gli sfidanti

lunedì 6 ottobre 2014

Pollo ai cinque limoni di nonna Carmela




Il ruolo e l’importanza ancestrale della famiglia è riconosciuto in ogni popolo. Il cammino della vita inizia in famiglia e la famiglia ci accompagna per il resto del nostro percorso. Nel corso dei secoli il ruolo della famiglia si è adattato ed evoluto seguendo i cambiamenti imposti dalla società, ma alla fine il fondamento naturale di questo legame è rimasto sempre lo stesso. Ragionando per assurdo, anche se un giorno dovessimo finire per vagare nell’universo in fredde astronavi, l’unità di base naturale resterebbe la famiglia. 

La globalizzazione ha determinato un crescente impegno da parte della comunità internazionale per la protezione della famiglia, di cui è stato ribadito il ruolo insostituibile. Ebbene, il 25 giugno il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in occasione del 20° anniversario dell’Anno internazionale della Famiglia, ha organizzato una tavola rotonda a tal fine. Il concetto chiave afferma che «la famiglia è l’unità naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato». 

Beh, su un testo del genere, che impegna gli Stati a proteggere la famiglia, ci si aspetterebbe totale concordia di tutti i Paesi. La risoluzione alla fine è stata approvata ma non certo grazie agli Stati occidentali. Sì avete capito bene, un testo a favore della famiglia è stato approvato grazie ai voti dei Paesi dell’Africa, della Cina, della Russia, dell’Indonesia, del Pakistan mentre hanno votato contro Stati come Germania, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e “ovviamente” l’Italia. 

Le motivazioni del no da parte dell’Italia sono principalmente da ritrovare nella volontà di non voler frantumare il fronte europeo (un’Europa che corre a diverse velocità, una volta tanto si prende per manina e cammina insieme…BAH!!). Una seconda motivazione è da ricercare nella volontà di diversi Stati di voler sostituire il termine «famiglia» con la frase «famiglia nelle sue varie forme», emendamento respinto dalla maggioranza delle nazioni. (fonte Avvenire)

Sulla tutela della famiglia balbettiamo come il nostro attuale premier quando si lancia nei suoi avveniristici discorsi in inglese…

Dunque il mondo trova da ridire anche sulla famiglia e sul suo concetto eppure nella miriade di definizioni di famiglia esiste una definizione che dovrebbe mettere tutti d’accordo ed essere riconosciuta come definizione mondiale. Questa definizione esiste già e riguarda il mondo della cucina, se mi chiedessero cos’è la famiglia, direi semplicemente che la famiglia è quella realtà quotidiana che si ritrova a condividere i pasti. 

Ovunque voi siate, in qualsiasi momento della giornata decidiate di mangiare, indifferentemente dal colore della pelle e dalla lingua che voi parliate, il linguaggio universale del cibo e la sua condivisione saranno il sostegno e l’essenza stessa di ciò che chiamiamo e definiamo famiglia.

Ma veniamo alla ricetta che voglio presentarvi: il pollo ai cinque limoni di nonna Carmela. Attenti però, nonna Carmela non è mia nonna, ma la nonna di Mirko, la dolce metà di mia sorella Barbara, che avevo ospitato lo scorso mese di settembre con la sua fantastica torta mimosa. Quindi per la seconda volta su resi.sten.za.po.e.ti.ca. un nuovo graditissimo ospite che ci propone una ricetta tramandata in famiglia, che fonda le sue radici nella cucina di nonna Carmela.

Ingredienti:

1 pollo da 2,5 kg circa

5 limoni

sale

Piccola premessa. Il pollo che ho utilizzato per questa ricetta proviene direttamente dall’aia di casa mia. Si tratta di un pollo di quasi un anno che grazie ad un’alimentazione sana e in piena libertà può raggiungere un peso e un sapore unici.

Innanzitutto occorre fiammeggiare gli eventuali residui di penne e piume passando il pollo sulla fiamma viva. Lavare, asciugare ed estrarre dall’apertura posteriore le frattaglie, facendo attenzione a non rompere il sacchetto della bile che conferirebbe un cattivo sapore alla carne. Massaggiate il pollo con il sale. Con una forchetta bucate i limoni e inserite due limoni all’interno del pollo e gli altri tre adagiateli intorno.


Preriscaldate il forno, in modalità ventilato, a 180° C. Quando il forno ha raggiunto la temperatura, infornate il pollo coperto con della carta di alluminio e lasciatelo per 30 minuti. Dopodiché togliete la carta di alluminio e lasciatelo cuocere per altri 50 minuti. A questo punto girate il pollo e lasciatelo cuocere per un’altra ora.

Portatelo in tavola in un bel vassoio e divertitevi a dividerlo, sarà un momento estremamente conviviale, a cui tutta la famiglia parteciperà con calore e simpatia.